Per le spietate e aride leggi dell’economia il lavoro non è né un diritto, né un luogo di dignità e di realizzazione della persona. Per le spietate e aride leggi dell’economia il lavoro è prima di tutto un fattore e un costo di produzione.
In un economia globalizzata dove gli imprenditori competono su scala globale senza essere protetti da barriere doganali, tariffarie, fiscali, logistiche e monetarie, la pressione sui margini di profitto e dunque sui costi di produzione (primo tra tutti il lavoro) è portato ai limiti. Io imprenditore sono costretto a pagare il meno possibile te lavoratore e sono costretto a liberarmi di te in fretta se il mercato mi mette in difficoltà.
La tecnologia ed in particolare la sua componente ‘robotica-intelligenza artificiale’ permette di sostituire lavoro umano. E’ così da 350 anni (dalla rivoluzione industriale), ma se con l’avvento del trattore i braccianti che avevano perduto il posto si riconvertivano facilmente nelle fabbriche, oggi i lavoratori ‘spiazzati’ dalla tecnologia rischiano di restare a casa.
Non tutti i lavori sono destinati alla precarietà e ai bassi salari. Il lavoro è protetto, stabile e ben pagato quando è un fattore critico di successo per l’imprenditore (o per i clienti) e quando è difficilmente sostituibile.
Un lavoro ci rende difficilmente sostituibili quando chiama in causa competenze tecniche rare e sofisticate (hard skills) e/o quando chiama in causa la nostra creatività, il nostro intuito, la nostra capacità di stare con gli altri, di vendere e di prendere buone decisioni in autonomia (soft skills imprenditoriali).
Se il nostro lavoro non chiama in causa hard skills e soft skills imprenditoriali sarà presto sostituito dalla tecnologia o subirà la concorrenza al ribasso di altri lavoratori provenienti da tutte le parti del mondo globalizzato, disposti a lavorare per un centesimo in meno di noi.
Il mercato del lavoro del terzo millennio è raccontato perfettamente dalla parabola del ristorante.
In un ristorante ci sono uno chef, un cameriere e un lavapiatti. Lo chef guadagna 1500 euro, il cameriere 1000 euro più le mance, il lavapiatti 800 euro. Lo chef con il tempo dà sfogo alla sua creatività, sperimenta, impara nuove tecniche. I clienti apprezzano e lo chef si guadagna la fiducia del titolare del ristorante. Adesso decide lui in piena autonomia menù, materie prime e prezzi. Non solo. Comincia a farsi vedere dai clienti e a raccontare i piatti. I clienti ora lo riconoscono e tornano al ristorante solo perché vogliono tornare da lui.
Così un bel giorno lo chef va dal titolare e dice “Se non mi raddoppi lo stipendio vado via”. Il titolare accetta e riconosce allo chef 3000 euro.
Nel frattempo il titolare si chiede se la tecnologia lo può aiutare ad abbassare i costi fissi. Scopre che una lavapiatti di ultima generazione può sostituire perfettamente il lavapiatti. Compra la lavapiatti e comunica al lavapiatti che non gli rinnoverà il contratto. Il lavapiatti gli dice “Va bene, però io ho bisogno di lavorare. Se mi prendi come cameriere accetto 800 euro invece delle 1000 che spendi con l’attuale cameriere”. Incuriosito dalla proposta il titolare va dall’attuale cameriere e gli dice “Il lavapiatti è disposto a fare il tuo lavoro per 800 euro. Se non rivediamo il tuo compenso da 1000 a 800 euro sarò costretto a scegliere lui”. “Ma come”, risponde il cameriere “Io sono più affidabile ed esperto del lavapiatti, è chiaro che io debba guadagnare di più”. “Mi dispiace”, dice il titolare, “ma in un mese il lavapiatti saprà lavorare come te. Facciamo così. Se vuoi facciamo 800 euro altrimenti prendo lui. Comunque per venirti incontro posso darti un premio di produzione se presentando i piatti in modo più accattivante aumenti l’ordine medio dei clienti. Fissiamo un obiettivo di fatturato e se lo raggiungi ti do 100 euro in più”. Il cameriere accetta.
Alla fine della parabola abbiamo un grande vincitore che guadagna molto di più (lo chef), un disoccupato in più (il lavapiatti) un lavoratore che ha un salario più basso e parzialmente legato a obiettivi di performance (il cameriere).
La differenza tra salario più alto e salario più basso è passata da 700 euro a 2200 euro.
Chi ha vinto si è giocato hard skills e soft skills imprenditoriali chi ha perso ha subito la competizione al ribasso con altri lavoratori senza poter opporre nulla.
Il talento e le competenze stravincono e l’assenza di talento e competenze straperdono.
La parabola del ristorante racconta ciò che vediamo tutti i giorni. Alcuni guadagnano di più, anche molto di più, molti perdono il lavoro per sempre. Molti diminuiscono il loro salario reale. Gli studi degli economisti dimostrano una crescente e poderosa divaricazione delle retribuzioni in tutte le economie più sviluppate.
Il talento e le competenze stravincono e l’assenza di talento e competenze straperdono.
Quando il nostro lavoro chiama in causa hard skills e/o soft skills imprenditoriali siamo al sicuro. Anche se l’azienda o l’organizzazione per cui lavoriamo collassasse ritroveremmo facilmente una collocazione. Viceversa, se il nostro lavoro non chiama in causa hard skills e/o soft skills imprenditoriali siamo precari e mal pagati anche se lavoriamo per aziende o enti (apparentemente) incrollabili.
Sta in piedi una società così “strabica”, in cui “gli chef” crescono mentre “camerieri e lavapiatti” soffrono? No. Abbiamo due vie, entrambe legittime ed entrambe percorribili, ma sostanzialmente alternative tra loro. Possiamo risindacalizzare il mondo e ricostruire barriere. Oppure possiamo accettare la sfida di una gigantesca riqualificazione del capitale umano, lavorando sulle persone, per far lavorare le persone. Non tutti possono “diventare chef”. Tutti possono diventare “camerieri insostituibili”
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