Da mesi la politica italiana si sta chiedendo se anticipare il pensionamento a “quota 100” possa innescare una dinamica positiva nel mondo del lavoro. Esce dal mondo del lavoro un…
Da anni ormai giornalisti e politici hanno scatenato un vero e proprio corto circuito informativo sui dati dell’occupazione e della disoccupazione. L’ISTAT sforna i dati. Se vanno bene il governo…
Il 2015 che si sta per chiudere per chi si occupa di lavoro in Italia è stato senz’altro l’anno del jobs act.
L’operazione jobs act e’stata senz’altro una splendida operazione politica: Read More Jobs act: dimmi come scrivi e ti dirò chi sei
Il jobs act, “il posto” e il lavoro di qualità
Il governo ha scommesso moltissimo sul jobs act e sull’ormai famigerato contratto a tutele crescenti. L’idea che sta dietro al contratto è all’apparenza ragionevole: le aziende che competono senza paracadute nel mondo globalizzato non possono permettersi matrimoni con i dipendenti “fin che morte non ci separi” e dunque i rapporti di lavoro vanno risolti senza traumi e con un bell’indennizzo. Se creiamo un contratto a tempo indeterminato con una “exit strategy soft”, dice il governo, cadono gli alibi dei datori di lavoro che dunque potranno rinunciare a tutte quelle forme contrattuali ibride (co.co.co, co.co.pro., somministrazione, partita IVA, ecc.) con cui si erano ingegnati per evitare l’art 18.
Il governo ci ha creduto tanto che ha messo sul tavolo qualche (è ancora difficile capire bene quanti a operazione conclusa) miliardo di euro: All’imprenditore che assume “a tutele crescenti” sgravi irap e decontribuzione per 3 anni fino a 8000 euro l’anno.
Fin qui tutto chiaro. Sono fiorite mille polemiche che riassumo così: