Il dibattito sul lavoro e’ talmente ideologico che basta un concetto banale (peraltro espresso in modo ambiguo) a scatenare il polverone mediatico.
Il ministro Poletti alcuni giorni fa, durante un convegno, ha detto in sostanza che la retribuzione del lavoro in futuro dovrà essere sempre meno legata all’orario e sempre di più al risultato. Semplificando lo stipendio fisso a prescindere dal risultato è il passato. Lo stipendio non legato alle ore di impegno ma alla performance è il futuro.
Immancabile si è scatenato il sindacalismo in stile ‘romanzo popolare’ che ha parlato di dignità ferita, di cottimo ottocentesco e di avvelenamento dei pozzi.
Io proprio non capisco dove sia la novità nelle parole di Poletti. Il Ministro ha semplicemente (e goffamente) trasformato in una proposta un’evidenza che ormai da anni caratterizza il mondo del lavoro in Italia e in tutte le economie sviluppate: lo stipendio si ‘variabilizza‘ (quanto ti pago varia in relazione a quanto produci, a proposito leggete questa “fiaba”: https://www.linkedin.com/pulse/la-parabola-del-ristorante-ed-il-nuovo-mercato-lavoro-cavalieri?trk=hp-feed-article-title-comment
Da anni abbiamo ‘il variabile’, ‘gli incentivi’, l’MBO (management by objectives), il premio di produttività.
Da anni abbiamo stipendi che si trasformano in compensi provvigionali, o in consulenze ‘a successo’ da fatturare a false partite IVA.
Da anni l’orario di lavoro e’ un indicatore contrattualmente rilevante solo per chi opera su turni o deve seguire orari tassativi di apertura e chiusura al pubblico. Per tutti gli altri il concetto di orario di lavoro conta sempre meno, dal consulente bancario (che diventa promotore finanziario) all’autista di Uber.
Infine a pensarci bene che cosa sono i contratti flessibili se non una forma di variabilizzazione del compenso (ti faccio lavorare fino a quando sei produttivo poi basta)?
1° conclusione: Poletti arriva in ritardo.
2° conclusione: Il mercato corre avanti e la politica insegue per poi ratificare con enorme ritardo con i suoi rituali quanto il mercato e la tecnologia hanno determinato.
3° conclusione: Se la politica fosse visione (nel senso alto del termine) forse un ministro del lavoro invece che ratificare ciò che è ormai consolidato dovrebbe indicare le vere nuove sfide. E le vere nuove sfide del lavoro non sono nella strutturazione di retribuzioni e contratti, ma nella gestione di un futuro in cui si rischia una profondissima lacerazione sociale: chi ha talento e/o chi è istruito lavora e guadagna per quel che produce. Chi non ha talento e/o non è istruito semplicemente non lavora.
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