L’alternanza scuola lavoro è una messinscena retorica che distoglie i ragazzi dallo studio? Uno strumento perverso per reclutare gratis bassa manovalanza? Lo strumento fondamentale per favorire l’integrazione tra due mondi che non si parlano? Dalla sua attuazione nel 2015 l’obbligo in capo alle scuole di organizzare per i propri studenti un’esperienza di contatto con il mondo del lavoro ha animato il dibattito tra politici, professori, genitori, esperti del mercato del lavoro.
Da piccolo imprenditore che opera nel settore delle risorse umane mi sono avvicinato con scetticismo al mondo dell’alternanza scuola-lavoro. I referenti di uno storico liceo di Bologna mi hanno invitato a parlare del mio libro “Il lavoro non è un posto” ai loro maturandi. Mi hanno spiegato che molte ore erano state dedicate ad una presenza piuttosto passiva presso alcune aziende del territorio, e che nei casi più fortunati i ragazzi erano stati ingaggiati in mansioni esecutive molto semplici, prive di qualsiasi utilità. Inizialmente ero perplesso: quale valore aggiunto i ragazzi potevano ottenere da una banale conferenza?
Così mi sono confrontato con i professori e ci siamo chiesti “Possibile che non ci sia qualcosa di più utile di una conferenza o di un lavoretto? Quali sono le preoccupazioni concrete dei ragazzi che resteranno tali lungo tutto il loro viaggio professionale?” La risposta per fortuna è arrivata quasi immediatamente: Farsi scegliere, superare delle selezioni. Ho scoperto infatti che fin dalle superiori e poi durante tutto il percorso universitario i ragazzi oggi, molto più di quanto avessi sperimentato io 25 anni fa, hanno la possibilità di aderire ad un’ampia offerta di programmi nazionali e internazionali di ricerca/ studio, specializzazione, stage. Questo significa che per loro il tema di come candidarsi e come lasciarsi scegliere è sentito già da prima della maturità. Con i professori abbiamo dunque pensato di dedicare le ore di alternanza scuola lavoro alla condivisione di strumenti operativi per costruire un Curriculum e un Personal Statement (l’espressione con cui nel mondo anglosassone viene definita l’autopresentazione di chi si candida a partecipare ad un programma di studio/ricerca) efficace. E così abbiamo fatto, in aula, chiedendo ai ragazzi di scrivere la propria “vetrina” e di presentarla in pubblico, preparandosi a gestire le dinamiche dei tanti colloqui di lavoro che affronteranno.
E’ stato straordinario osservare come a partire da un’esigenza molto concreta i ragazzi si siano dovuti confrontare con interrogativi molto profondi che li accompagneranno per tutta la carriera: “Quali sono davvero i miei progetti e le mie aspirazioni? Cosa mi piace fare davvero? Come mi vedono gli altri? Qual è la mia unicità, come posso proporla alle persone intorno a me?”
I ragazzi hanno risposto con grande interesse e curiosità, senza nascondere il loro disagio di fronte a due sfide per loro inedite: La prima è stata quella di dover dare forma e concretezza a passioni e desideri personali. La seconda è stata quella di misurarsi con la propria autostima e imparare a capire qual è la linea di confine tra sicurezza di sé e arroganza (“Non vorrei sembrare arrogante e troppo sicuro di me” è stata una delle frasi più ricorrenti nei commenti).
In questa prospettiva il progetto ha centrato l’obiettivo di rendere consapevoli i ragazzi dell’importanza delle soft skills per il loro futuro: “E’ importante che io abbia voti eccellenti ma conta anche la mia capacità di focalizzare gli obiettivi. E’ importante che io sappia parlare correttamente l’inglese ma conta anche la mia capacità di trasmettere energia ed entusiasmo. E’ importante che io padroneggi perfettamente dei software, ma conta anche la mia capacità di adattarmi al contesto in cui opero, alle persone che mi circondano”.
L’esperienza che ho vissuto come consulente “prestato” alla scuola sembra indicare che il progetto alternanza scuola lavoro ideale non può limitarsi ad una “prolungata visita in azienda”. L’ideale per i ragazzi sta presumibilmente in un mix di esperienze: un approfondimento teorico sul mondo del lavoro con chi conosce “da dentro” le dinamiche del mercato; qualche “lavoretto”, anche umile, per capire “l’aria che tira”; infine una riflessione operativa sui progetti e le sfide che cominciano subito, come per esempio trovarsi un lavoro vero, o costruire un percorso universitario pieno di stimoli.
Un percorso ben strutturato di questo tipo è fondamentale per rendere i ragazzi più consapevoli e più autonomi nel prendere decisioni che segneranno il loro futuro. Alla scuola ancora una volta il compito di livellare il campo delle opportunità, evitando che a partire dalle scelte del post maturità si apra il solco della disuguaglianza tra ragazzi che trovano in famiglia la bussola per muoversi nel mondo del lavoro e ragazzi che questa bussola la devono trovare altrove.
Be First to Comment