Un tempo il governo sui temi del lavoro si occupava soprattutto di ‘politiche passive’. Espressione che sostanzialmente significa difendere il lavoro che c’è, i suoi diritti, la sua qualità. Da…
Lavorando nelle risorse umane negli ultimi 10 anni ho sentito migliaia di storie personali di crisi sul lavoro. Ecco tre esempi tipici: 1) “Mi ha convocato il direttore del personale…
Read More Crisi del rapporto (di lavoro): prevenire non curare
Nel primo semestre 2015 in Italia sono stati venduti quasi 50 milioni di voucher lavoro. Il tasso di crescita nell’utilizzo di questo sistema semplice per regolare le prestazioni di lavoro…
Il dibattito su scuola e lavoro ha le sue “mitologie”. Una delle più consolidate riguarda l’alternanza scuola lavoro.
La vulgata dice:
- I giovani italiani al termine degli studi non hanno la più pallida idea di come funziona la “vita vera” nelle aziende;
- Le aziende hanno difficoltà ad assumere i giovani neolaureati o neodiplomati perché non sono preparati concretamente alle sfide del lavoro;
- I giovani italiani studiano soltanto e non sanno fare niente;
- All’estero (soprattutto il mitico modello tedesco) la scuola insegna “i mestieri” e questo spiega il differenziale di occupazione giovanile tra noi ed altri importanti stati europei;
- Per entrare nel mondo del lavoro bisogna in qualche modo averlo “annusato”, aver fatto esperienza anche solo del “contesto ambientale”.
Siccome queste affermazioni sono considerate verità di fede (e tali sono perché non poggiano su riscontri oggettivi e dunque non sono “popperianamente” falsificabili) la politica si adegua:
Il jobs act, “il posto” e il lavoro di qualità
Il governo ha scommesso moltissimo sul jobs act e sull’ormai famigerato contratto a tutele crescenti. L’idea che sta dietro al contratto è all’apparenza ragionevole: le aziende che competono senza paracadute nel mondo globalizzato non possono permettersi matrimoni con i dipendenti “fin che morte non ci separi” e dunque i rapporti di lavoro vanno risolti senza traumi e con un bell’indennizzo. Se creiamo un contratto a tempo indeterminato con una “exit strategy soft”, dice il governo, cadono gli alibi dei datori di lavoro che dunque potranno rinunciare a tutte quelle forme contrattuali ibride (co.co.co, co.co.pro., somministrazione, partita IVA, ecc.) con cui si erano ingegnati per evitare l’art 18.
Il governo ci ha creduto tanto che ha messo sul tavolo qualche (è ancora difficile capire bene quanti a operazione conclusa) miliardo di euro: All’imprenditore che assume “a tutele crescenti” sgravi irap e decontribuzione per 3 anni fino a 8000 euro l’anno.
Fin qui tutto chiaro. Sono fiorite mille polemiche che riassumo così:
Il lavoro del terzo millennio stretto nella morsa della competizione globale e degli algoritmi dopo la scorpacciata di teamworking e team building deve riscoprire il valore del lavoro “in solitudine”.…
Read More Nel tempo del teamworking bisogna saper stare da soli
Il valore aggiunto è quel pezzettino di valore che ciascuno di noi aggiunge nel confezionamento di un prodotto o servizio. Dentro questo concetto di business c’è la bussola per orientarsi…
Un tempo la divisione del lavoro nelle grandi organizzazioni (dalla vecchia fabbrica fondista all’impiegato di concetto “fantozziano”) era tale per cui si poteva far bene il proprio dovere a prescindere…
Un tempo gli interessi extrascolastici erano visti dai genitori come un pericolo e una distrazione nel cammino verso il successo negli studi e l’affermazione professionale: “Lascia perdere questo maledetto modellismo…