Il dibattito sul lavoro e’ talmente ideologico che basta un concetto banale (peraltro espresso in modo ambiguo) a scatenare il polverone mediatico. Il ministro Poletti alcuni giorni fa, durante un…
Nel primo semestre 2015 in Italia sono stati venduti quasi 50 milioni di voucher lavoro. Il tasso di crescita nell’utilizzo di questo sistema semplice per regolare le prestazioni di lavoro…
Il dibattito su scuola e lavoro ha le sue “mitologie”. Una delle più consolidate riguarda l’alternanza scuola lavoro.
La vulgata dice:
- I giovani italiani al termine degli studi non hanno la più pallida idea di come funziona la “vita vera” nelle aziende;
- Le aziende hanno difficoltà ad assumere i giovani neolaureati o neodiplomati perché non sono preparati concretamente alle sfide del lavoro;
- I giovani italiani studiano soltanto e non sanno fare niente;
- All’estero (soprattutto il mitico modello tedesco) la scuola insegna “i mestieri” e questo spiega il differenziale di occupazione giovanile tra noi ed altri importanti stati europei;
- Per entrare nel mondo del lavoro bisogna in qualche modo averlo “annusato”, aver fatto esperienza anche solo del “contesto ambientale”.
Siccome queste affermazioni sono considerate verità di fede (e tali sono perché non poggiano su riscontri oggettivi e dunque non sono “popperianamente” falsificabili) la politica si adegua:
Il jobs act, “il posto” e il lavoro di qualità
Il governo ha scommesso moltissimo sul jobs act e sull’ormai famigerato contratto a tutele crescenti. L’idea che sta dietro al contratto è all’apparenza ragionevole: le aziende che competono senza paracadute nel mondo globalizzato non possono permettersi matrimoni con i dipendenti “fin che morte non ci separi” e dunque i rapporti di lavoro vanno risolti senza traumi e con un bell’indennizzo. Se creiamo un contratto a tempo indeterminato con una “exit strategy soft”, dice il governo, cadono gli alibi dei datori di lavoro che dunque potranno rinunciare a tutte quelle forme contrattuali ibride (co.co.co, co.co.pro., somministrazione, partita IVA, ecc.) con cui si erano ingegnati per evitare l’art 18.
Il governo ci ha creduto tanto che ha messo sul tavolo qualche (è ancora difficile capire bene quanti a operazione conclusa) miliardo di euro: All’imprenditore che assume “a tutele crescenti” sgravi irap e decontribuzione per 3 anni fino a 8000 euro l’anno.
Fin qui tutto chiaro. Sono fiorite mille polemiche che riassumo così:
ISTAT, INPS e Ministero del lavoro hanno pubblicato negli ultimi mesi centinaia di dati statistici sull’evoluzione del mercato del lavoro, dati spesso incongruenti tra loro e molto spesso di difficile interpretazione.
La stampa ha cercato nei numeri la conferma della bontà o della non bontà del jobs act e ha spesso e volentieri dimenticato di rendere conto di un dato impressionante: In Italia lavorano 22 milioni e mezzo di persone. Su 100 persone in età lavorativa (15-64 anni) lavorano solo in 56. Non è un problema solamente italiano. Read More Il lavoro è un diritto?
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