Nulla sarà più come prima. E’ la frase del momento.
I “futurologi” stanno analizzando in questi giorni le conseguenze della pandemia sul nostro stile di vita futuro. Forse esagerano. Ci dicono che il nostro modo di curarci, di fare sport, di fare riunioni, di fare festa, di fare la spesa cambierà per sempre.
Non sappiamo come andrà davvero. Ciò che tutti sentiamo distintamente è che c’è un’intera umanità di fronte a uno spartiacque. C’è un prima e un dopo coronavirus, per le società, per le famiglie, per le aziende, per ciascuno di noi.
Come tutti mi sto chiedendo come cambierà il mio lavoro e sto cercando di intervenire. Sono preoccupato come molti. Ma provo anche qualcosa di diverso. Vivo una sottile sensazione di libertà mentale e credo possa essere una sensazione comune a tanti. Cosa intendo con l’espressione libertà mentale?
Mi riferisco alla libertà di pensarsi impegnati in uno scenario diverso, con nuove abitudini e un nuovo lavoro. Il presente in effetti tende a imprigionarci. Per quanto visionari possiamo essere la nostra capacità di immaginazione è sempre frustrata dai nostri “piedi per terra” nel presente. E’ un combattimento tra i voli pindarici della nostra fantasia e la palude della continuità, dell’everything goes on as usual.
Questa guerra sanitaria, questo fare i conti con la nostra fragilità rompe il paradigma della continuità, del domani che sarà più o meno simile all’oggi. E questo paradossalmente, pur nella sofferenza del momento, ci rende più liberi.
La quarantena diventa allora una splendida occasione per “fantasticare concretamente”. Nell’accezione comune fantasticare significa dedicarsi ad un esercizio intellettuale, stare con la testa tra le nuvole. In questi giorni fantasticare diventa invece un esercizio opportuno e concreto, per alcuni di noi un esercizio addirittura necessario. Uno degli slogan motivazionali più inflazionati nel mondo del management negli ultimi anni è stato “change before you have to”. Adesso le prime due parole sono cadute. Il cambiamento non è più un’opzione. In questi giorni di quarantena ci ritroviamo liberi di usare tutta la nostra fantasia per scrivere un nuovo progetto di vita e di lavoro quando l’emergenza sarà terminata, quando comincerà il nostro “dopoguerra”.
Negli ultimi anni ho incontrato centinaia di clienti che mi chiedevano un aiuto nella loro ricerca di un nuovo lavoro. Ciascuno di questi progetti si è imbattuto nella fase che io definisco “prigionia del presente”: voglio cambiare lavoro (e vita) ma quando arriva il momento dei gesti concreti allora la paura delle decisioni irrevocabili si impadronisce di me e mi immobilizza. “Tutto sommato non sto poi così male”. Ecco, più della metà dei progetti di ricerca di un nuovo lavoro soccombono al cospetto della “prigionia del presente”.
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