Una delle promesse della campagna elettorale (la propongono sia Renzi che Salvini) riguarda l’introduzione del salario minimo legale.
Questa misura coinvolgerebbe tutti quei lavoratori dipendenti (circa il 15% del totale) che non sono coperti dalla contrattazione collettiva nazionale.La proposta ha evidentemente il suo fascino propagandistico. Siamo tutti indignati di fronte alle storie di chi lavora ai confini della legalità per meno di 5 euro all’ora. Tuttavia, siccome il diavolo sta nei dettagli, il salario minimo legale è solo apparentemente una buona idea.
Partiamo dalla determinazione di questo “minimo”: nei paesi europei in cui è presente una misura di questo tipo le soglie sono molto diverse, dai 4,48 euro in Spagna ai 9,35 in Francia.
ll problema della quantificazione è cruciale perchè se la soglia è troppo bassa la misura si rivela inutile, se è troppo alta si crea un incentivo per le imprese a licenziare, a non assumere o ad assumere in nero.
Negli anni si è determinato un certo consenso da parte degli economisti sul fatto che il salario minimo dovrebbe attestarsi intorno ad un valore pari al 50% del salario mediano del paese di riferimento. I 9-10 euro all’ora proposti da Renzi corrisponderebbero invece all’80% del salario mediano italiano, una soglia troppo elevata per non generare comportamenti elusivi o illegali, soprattutto in un paese come il nostro che ha abusato dei voucher e dove si calcolano almeno 3 milioni di lavoratori in nero.
Non c’è solo un problema di “quantum”, ma anche di uniformità tra aree geografiche e tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Da un lato infatti il salario minimo riproporrebbe l’antico dibattito sulle gabbie salariali, dall’altro costringerebbe ad includere gli autonomi nella platea dei beneficiari per evitare incentivi perversi a trasformare rapporti di lavoro dipendente in fittizi rapporti “committente-cliente”. A quel punto si genererebbero ulteriori problemi di uniformità e competizione nel variegatissimo mondo del lavoro autonomo italiano, dove convivono il telefonista da 4 euro all’ora con l’avvocato milionario.
Al di là di queste enormi complessità organizzative la criticità principale del salario minimo è legata all’effetto calamita di un valore imposto per legge. Se ne parla poco perchè in Italia quando parliamo di lavoro non consideriamo mai abbastanza gli incentivi che determinano il comportamento opportunistico degli imprenditori. Immaginiamo un colloquio di lavoro. Se esiste un salario minimo per legge per il datore di lavoro sarà gioco facile “ancorare” verso quel minimo le sue proposte negoziali: “Le possiamo dare quello che è previsto per legge…” Il salario minimo orienta verso il basso la contrattazione “non collettiva”, esattamente quella per cui è stata concepita questa proposta. Fanno bene quindi questa volta i sindacati a manifestare il loro scetticismo per quella che fortunatamente dovrebbe restare solo una promessa elettorale.
I politici si arrendano, non esistono soluzioni immediate e “low cost” per aumentare il livello dei salari in Italia. L’unica strada è quella di un gigantesco investimento in produttività del lavoro. Una strada che prevede un coinvolgimento organico di scuola, università e formazione professionale, una strada che purtroppo produce risultati con tempistiche molto diverse da quelle richieste da una campagna elettorale.
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