La Cassazione con la sua sentenza del 7 dicembre 2016 ha sancito per la prima volta la possibilità di licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo anche per ragioni legate alla migliore redditività ed efficienza dell’azienda.
La notizia è finita sui giornali ma è stata probabilmente sottovalutata. Si tratta infatti di una sentenza rivoluzionaria.
Perché? Perché fino al 7 dicembre solo una situazione fortemente negativa in termini di contrazione del fatturato e/o crisi aziendale poteva giustificare un licenziamento.
La Cassazione in sostanza ha detto: “caro imprenditore, se dimostri di poter essere più efficiente rimuovendo una funzione aziendale puoi farlo, anche se l’azienda non sta affrontando una crisi o un crollo del fatturato”.
Mi aiuto con un esempio:
C’è un ristoratore che dà lavoro a un cameriere, un cuoco e un lavapiatti. Il ristorante va bene. Il ristoratore si accorge che sostituendo il lavapiatti con una “lavapiatti automatizzata” guadagnerebbe in efficienza e in produttività. Prima della sentenza il ristoratore non avrebbe potuto licenziare il lavapiatti (il ristorante non è in crisi). Con la sentenza della Cassazione, invece, il ristoratore può eliminare la funzione di “lavapiatti” nella sua organizzazione e se non riesce a trovare una nuova collocazione può addirittura licenziare il lavapiatti.
Nel sentire comune il risparmio sulla lavapiatti è un arbitrio dell’imprenditore. In realtà l’imprenditore, se è un vero imprenditore, quel risparmio lo reinveste in modo più efficiente creando più lavoro. Per non parlare del fatto che se un concorrente aprisse un ristorante più efficiente dall’altra parte della strada il nostro ristoratore dovrebbe nell’arco di pochi mesi chiudere e dunque licenziare anche il cameriere e il cuoco.
I giornali hanno titolato così: “si può licenziare per profitto”. E sono stati titoli fuorvianti, perché hanno alimentato il vecchio e ormai insostenibile schema dell’imprenditore paperone che specula sulla pelle del lavoratore e lo licenzia arbitrariamente, per un pugno di dollari in più.
In realtà è stato sancito un principio sacrosanto: il lavoro viene creato dalle imprese e se le imprese non sono efficienti e competitive non creano vere opportunità di lavoro. Per decenni le aziende (private e pubbliche) hanno potuto sopravvivere nonostante la loro inefficienza perché il sistema economico poteva proteggerle dalla concorrenza e perché i costi di quell’inefficienza potevano essere scaricati sulla fiscalità generale (la storia del rapporto tra FIAT e governo italiano nel dopoguerra se vogliamo un esempio noto a tutti).
Oggi che di inefficienza si muore fa bene la Cassazione a sancire il diritto dell’imprenditore a guardare prima di tutto alla produttività e all’efficenza della sua organizzazione. L’inefficienza di oggi è infatti la crisi ed il fallimento di domani.
E noi poveri lavoratori? Paradossalmente dovremmo essere i primi ad apprezzare questa sentenza della Cassazione perché abbiamo l’interesse a lavorare in aziende superefficienti che creano lavoro di qualità e investono nelle persone nel lungo termine.
Per estremizzare meglio essere disoccupati e avere un sistema di ricollocazione e riconversione che funziona e consente di trovare lavoro di qualità (dentro aziende efficienti) che trascinarsi più o meno consapevolmente in aziende che non funzionano (fatturare non significa necessariamente funzionare) e che inesorabilmente, al primo scossone di crisi, ci lasceranno a casa più vecchi e meno formati.
La verità insomma è che chi lavora oggi (in realtà è sempre stato così salvo che nel novecento) deve preoccuparsi di essere in prima persona fonte di efficienza. Chiediamoci sempre se il nostro ruolo e la nostra funzione portano efficienza all’organizzazione per cui lavoriamo. E se la risposta è negativa agiamo di conseguenza e muoviamoci per tempo: “Change before you have to”.
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