Nell’ultimo post
avevamo scritto che gli occupati non sono posti, vale a dire che per come sono raccolti i dati nelle indagini ISTAT molti occupati sono “part time involontari” (“mi hanno obbligato a passare dal full time al part time”), oppure “lavoretti”, oppure lavoratori “parzialmente in nero”.
Non a caso secondo l’ISTAT negli ultimi 4 anni il 28% degli occupati ha lavorato meno di 35 ore alla settimana.
Ne abbiamo dedotto che non necessariamente un “occupato” secondo la definizione ISTAT è una persona che lavora quanto vorrebbe e quanto potrebbe; non necessariamente è uno che ha risolto i suoi problemi di lavoro e non necessariamente è una persona che deve dire grazie al politico di turno.
Quando si parla di politiche del lavoro, oltre al dato degli “occupati”, i politici utilizzano un altro dato statistico per tirare l’acqua al proprio mulino: il numero dei contratti.
Periodicamente l’INPS rileva il numero di contratti di lavoro sottoscritti.
Se come accaduto oggi l’INPS dice che nei primi 4 mesi del 2016 ci sono stati 330000 contratti in più, i giornalisti titolano “330.000 contratti in più”, e i politici twittano “330.000 posti in più”. A quel punto noi pensiamo che ci sono 330.000 famiglie italiane che hanno risolto un problema, il più importante dei problemi. E invece non è così.
Il motivo è banalissimo. Nel mercato del lavoro liquido dei nostri tempi le persone hanno rapporti contrattuali di lavoro più discontinui.
Pensare che un contratto in più sia un posto in più è come dire che siccome aumenta il numero dei contratti di affitto e delle compravendite di casa è aumentato il numero di persone che hanno una casa.
Facciamo l’esempio di un ragazzo che trova lavoro in un’azienda come contabile ma entra con un contratto di somministrazione. Il ragazzo dunque firma un contratto con l’agenzia per il lavoro, che “gira” il ragazzo all’azienda cliente. Dopo poco tempo il ragazzo interrompe il rapporto di somministrazione perché l’azienda decide di assumerlo direttamente. Il ragazzo firma un secondo contratto di lavoro anche se sostanzialmente la sua situazione lavorativa non è mutata. Infine dopo qualche mese l’azienda per un problema sopraggiunto decide di interrompere il rapporto di lavoro col ragazzo.
Abbiamo avuto due contratti e due cessazioni. Il ragazzo è disoccupato come era all’inizio del periodo ma per l’INPS ovviamente ci sono stati due contratti di assunzione in più.
Sarebbe ovviamente più interessante il dato del saldo tra assunzioni e cessazioni (contratti in entrata e contratti in uscita), ma giornalisti e politici purtroppo si fermano prima. I primi per dovere di arrivare subito “al titolo”, i secondi perché…
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