E’ un buon periodo per chiedere un mutuo-casa. La BCE ha portato i tassi a zero, le banche hanno montagne di soldi da prestare all’economia reale e per guadagnare qualcosa devono a tutti costi trovare qualcuno a cui prestare denaro.
La domanda di mutui da alcuni anni a questa parte è in crescita (crescita determinata in modo significativo dalle surroghe): solo nell’ultimo anno +31% (primo trimestre 2016 rispetto al primo trimestre 2015).
Cosa succede ad un giovane che chiede un mutuo? Se sei un dipendente pubblico o un contratto a tempo indeterminato “con art 18” verrai quasi corteggiato. Se sei un “tutele crescenti post jobs act” l’impiegato della banca sorriderà imbarazzato e poi dirà:
“Ok il contratto a tutele crescenti, ma lei ha un genitore o qualcuno che può garantire per lei firmando? Sa, non è per sfiducia. E’ che con questi nuovi contratti non si può mai dire….”
Oppure
“Ok il contratto a tutele crescenti, ma noi chiediamo che lei sottoscriva una polizza assicurativa che ci tuteli da una eventuale perdita del lavoro. Sa, non è per sfiducia. E’ che con questi nuovi contratti non si può mai dire….”.
Non biasimiamo la banca. Un tempo con l’art 18 perdere il lavoro era davvero un’impresa, e le banche si potevano fidare. Quel pezzo di carta era una garanzia più che sufficiente. Oggi i rapporti di lavoro sono più “liquidi” e il diritto ha dovuto adeguarsi al mercato: flessibilità nei rapporti di lavoro flessibilità nel contratto.
Per adesso quindi funziona così. Sui mutui di una certa durata e consistenza è molto difficile che la banca si accontenti di un contratto “a tutele crescenti”.
Ieri bastava il contratto, oggi se non c’è l’art. 18, ci deve essere un’assicurazione o un genitore che firma da garante sulla base della sua pensione sicura o del suo contratto protetto dall’art.18. Ma domani? Quando la maggior parte dei lavoratori saranno o autonomi o a termine o senza art.18 e i genitori di domani saranno troppo vecchi per offrire garanzie, le banche a chi potranno dare un mutuo ipotecario?
Le cose però cambieranno. E’ inesorabile. Le banche saranno costrette a cambiare i criteri per l’erogazione del credito.
Le banche cominceranno a valutare la nostra “employability”, la nostra capacità di trovare un lavoro dopo averne perso un altro, la nostra capacità di trovare un lavoro “qualunque cosa succeda”.
Così come oggi degli specialisti fanno le pulci ai bilanci e alle prospettive di business delle nostre aziende prima di darci darci un finanziamento, domani faranno le pulci al nostro profilo professionale per darci un mutuo casa o una fideiussione.
Per valutare il nostro “merito di credito” in banca ci saranno degli specialisti che esamineranno il nostro curriculum, il nostro network di contatti, le nostre competenze. Ci verranno sottoposti dei test. Esattamente come in un processo di selezione. La banca ci sottoporrà all’equivalente di un processo di selezione. Sarà insomma una valutazione più “meritocratica” di ciò che non a caso si chiama “merito di credito”. Conta se sei in gamba, non che contratto hai.
Resta un problema politico/sociologico di fondo. Se una volta bastava avere l’art.18 (e potevano averlo tutti, bravi e meno bravi, laureati e non laureati, specializzati e non specializzati) domani il bravo avrà il mutuo, il non bravo no. E’ giusto? E’ sostenibile a livello sociale? Un altro aspetto di quella polarizzazione del mondo del lavoro (da una parte chi sta molto bene dall’altra chi sta molto male) che oggi appare tanto inesorabile quanto preoccupante.
Published 13 aprile 2016 by Lorenzo Cavalieri
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