Il 2015 che si sta per chiudere per chi si occupa di lavoro in Italia è stato senz’altro l’anno del jobs act.
L’operazione jobs act e’stata senz’altro una splendida operazione politica: Tempi giusti (approvazione rapida in un anno di condizioni economiche internazionali favorevoli per l’Italia), nome azzeccato (“smart”, inglese, semplice da ricordare), dotazione finanziaria (la decontribuzione ovvero il premio in danaro per l’imprenditore che assume).
La bontà dell’operazione politica e’ testimoniata dal fatto che la maggioranza distratta degli elettori, condizionata dal martellamento comunicativo, è portata a due associazioni improprie:
1) la dotazione finanziaria viene considerata parte integrante della riforma del lavoro (cosa che non è ovviamente visto che un conto sono le nuove regole un conto gli stanziamenti finanziari pubblici che cambiano di anno in anno);
2) associare l’entrata in vigore del jobs act con l’aumento dell’occupazione. Si tratta purtroppo di un meccanismo inconscio in base al quale se veniamo portati ad associare continuamente due eventi/fenomeni (l’entrata in vigore del jobs act e l’aumento dell’occupazione) la nostra testa e’ portata ad immaginare una connessione causale tra i due eventi/fenomeni.
In realtà come si capisce con un minimo di approfondimento non ci sono evidenze che spiegano l’aumento (contenuto) dell’occupazione con il cambio delle regole.
Personalmente credo che le regole del mercato del lavoro abbiano un impatto molto contenuto sulla rivoluzione in corso nel mondo del lavoro. Non a caso ho scritto nel 2015 un libro che parla del mondo del lavoro senza citare mai l’espressione jobs act.
Avremo modo di evidenziare su questo blog tutti i pregi (maggiore flessibilità) e difetti (inadeguatezza delle politiche attive) del jobs act.
Per ora, tra il serio e il faceto, mi piace evidenziare che la mitologia della modernità legata al jobs act crolli come neve al sole di fronte a capolavori linguistici come il seguente:
“Il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la Naspi intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale dalla quale ricava un reddito che corrisponde ad un imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’art.13 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del presidente della repubblica 22 dicembre 1986 n917 deve informare l’impsnentro un mese dall’inizio dell’attività dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne.
La Naspi e’ ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento o, se antecedente, la fine dell’anno. La riduzione di cui al periodo precedente e’ ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. Il lavoratore esentato dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi e’ tenuto a presentare all’INPS un apposita auto dichiarazione concernente il reddito ricavato dall’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale entro il 31 marzo dell’anno successivo. Nel Caso di mancata presentazione dell’auto dichiarazione il lavoratore è tenuto a restituire la Naspi percepita dalla data di inizio dell’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale.”
E’ Smart? E’open? E’ 2.0? E’ alla portata di tutti? O non siamo di fronte alla solita liturgia linguistica del potere, quella dietro cui ‘gli addetti ai lavori’ nascondono facilmente le loro magagne? Una riforma che parla questa lingua può mai essere veramente innovativa?
Ci aspettiamo ben altre innovazioni nel mondo del lavoro. Testi facili da capire anche per chi non fa il consulente del lavoro, costruiti seguendo una regola semplice: Se un meccanismo regolamentare o procedurale e’ troppo difficile da raccontare vuol dire che è un meccanismo semplicemente sbagliato.
Altro che jobs act
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